Sono stata a Berlino due volte. La prima per un mese, la seconda per due settimane. La prima volta era febbraio, la seconda maggio. E ho amato
molto di più il vento gelido dell'Est di febbraio dell'instabilità
del cielo di maggio. Le mie prime quattro settimane berlinesi sono
state belle, lente, con lunghe passeggiate e pochi trasporti pubblici
(che sono cari rispetto a quelli italiani, ma decisamente più
capillari ed efficienti). Non ho visto molti musei, ma ancora oggi non mi importa. Mi è piaciuto passeggiare tra la gente, sentire
tanti accenti, tanto italiano e tanto spagnolo, vedere vetrine di
antiquari e di giovani artisti, entrare nei giganteschi centri
commerciali e negli onnipresenti H&M, cercare di decifrare i Menù
dei ristoranti in Unter den Linden, resistere al
gelido vento sulle rive della Sprea.
Di Berlino mi piace la convivenza tra antico e moderno, il continuo rimando del presente al passato: le case ottocentesche accanto a quelle più moderne, che ne riprendono i motivi e sembrano destrutturarli. Mi piace il filo di follia che percorre la città e che deve essere tipico dei popoli nordici, perché essere così perfettamente ligi alle regole richiede per forza qualche sfogo da qualche parte. Così stupiscono la Friedrich Bahnhof come un ponte sull'omonima via o l'elegante casa della Belle Epoque, incredibilmente color gambero. Mi piacciono le gru che si stagliano nel cielo grigio cittadino, che parlano dei frenetici cambiamenti del dopo Muro e che entusiasmano, perché i risultati si vedono davvero e Berlino si è rinnovata come nessun'altra capitale. Mi piace come Berlino Ovest e Berlino Est si stiano sforzando di incontrare un modus vivendi, tra i casermoni dai colori improbabili dell'Est e i grattacieli di vetro dell'Ovest. Mi piace Potsdamer Platz, con i suoi grattacieli colorati, che chiudono le prospettive di viuzze con balconi quasi italiani. Mi piace come al primo sole invernale si affaccino tutti ai tavoli dei caffé all'aperto, anche se tira un vento che gela dall'Est, e stiano lì a leggersi il giornale, a bersi un caffelatte e a bearsi come se fosse primavera. Mi piace come gli dei di tutti i cieli abbiano fatto pace con questa città, aiutandola a rimarginare le ferite, senza dimenticare il sangue: non c'è posto in cui non ricordino i massacri e le distruzioni della Seconda Guerra, gli orrori del nazismo, i dolori e l'impotenza della separazione e, finalmente, la riunione della città e della nazione nel nome della pace e della fratellanza.
Uno dei miei ultimi giorni berlinesi è coinciso con l'anniversario dell'incendio del Reichstag e l'inizio del nazismo. Dalla sua cupola trasparente guardavo lo skyline della capitale, pieno di gru e di campanili gotici, e pensavo come questo edificio severo e solenne sia il simbolo della nuova Germania e come questa cupola, accorci le distanze, aperta a un pubblico, che, non solo può sentirsi vicino alle istituzioni democratiche, ma può godere del cielo di una delle più affascinanti capitali europee.
Dei giorni berlinesi porto con me il cielo sopra la città, che non è solo il titolo di un film. Non è mai uguale a se stesso e non ci si stanca mai di osservare le sue nuvole nere e minacciosissime che risaltano il verde rame dei campanili slanciati, il raggio di sole che finisce sempre con l'illuminare la Siegessaule, la statua di Nike che guarda la Porta di Brandeburgo dall'alto della sua colonna, lo squarcio d'azzurro che si apre su Alexanderplatz.
Porto soprattutto i berlinesi, la signora che, vedendomi con una guida in mano, si è avvicinata a Kreuzberg per chiedermi, prima in tedesco e poi in inglese, se cercavo qualcosa di specifico e poteva aiutarmi o se stavo semplicemente leggendo, le decine di commessi che aiutano lo straniero parlandogli immediatamente in una lingua a lui comprensibile, come quel giovane cameriere di Nordsee in Potsdamer Platz che alla studentessa dal pesante accento italiano che voleva le kartoffeln in un box ha chiesto ok, crante o pikkolo? facendo sorridere lei e le sue amiche e ghignando pure lui.
E mi porto anche la colonna sonora di questi giorni. Incredibilmente Alexanderplatz di Milva e Dall'altra parte dei Pooh. Non so perché ma mi sono suonate continuamente in mente, facendomi compagnia, in una città che non ha mai smesso di sognare, che non ha mai mollato e che gli dei stanno finalmente premiando.
Di Berlino mi piace la convivenza tra antico e moderno, il continuo rimando del presente al passato: le case ottocentesche accanto a quelle più moderne, che ne riprendono i motivi e sembrano destrutturarli. Mi piace il filo di follia che percorre la città e che deve essere tipico dei popoli nordici, perché essere così perfettamente ligi alle regole richiede per forza qualche sfogo da qualche parte. Così stupiscono la Friedrich Bahnhof come un ponte sull'omonima via o l'elegante casa della Belle Epoque, incredibilmente color gambero. Mi piacciono le gru che si stagliano nel cielo grigio cittadino, che parlano dei frenetici cambiamenti del dopo Muro e che entusiasmano, perché i risultati si vedono davvero e Berlino si è rinnovata come nessun'altra capitale. Mi piace come Berlino Ovest e Berlino Est si stiano sforzando di incontrare un modus vivendi, tra i casermoni dai colori improbabili dell'Est e i grattacieli di vetro dell'Ovest. Mi piace Potsdamer Platz, con i suoi grattacieli colorati, che chiudono le prospettive di viuzze con balconi quasi italiani. Mi piace come al primo sole invernale si affaccino tutti ai tavoli dei caffé all'aperto, anche se tira un vento che gela dall'Est, e stiano lì a leggersi il giornale, a bersi un caffelatte e a bearsi come se fosse primavera. Mi piace come gli dei di tutti i cieli abbiano fatto pace con questa città, aiutandola a rimarginare le ferite, senza dimenticare il sangue: non c'è posto in cui non ricordino i massacri e le distruzioni della Seconda Guerra, gli orrori del nazismo, i dolori e l'impotenza della separazione e, finalmente, la riunione della città e della nazione nel nome della pace e della fratellanza.
Uno dei miei ultimi giorni berlinesi è coinciso con l'anniversario dell'incendio del Reichstag e l'inizio del nazismo. Dalla sua cupola trasparente guardavo lo skyline della capitale, pieno di gru e di campanili gotici, e pensavo come questo edificio severo e solenne sia il simbolo della nuova Germania e come questa cupola, accorci le distanze, aperta a un pubblico, che, non solo può sentirsi vicino alle istituzioni democratiche, ma può godere del cielo di una delle più affascinanti capitali europee.
Dei giorni berlinesi porto con me il cielo sopra la città, che non è solo il titolo di un film. Non è mai uguale a se stesso e non ci si stanca mai di osservare le sue nuvole nere e minacciosissime che risaltano il verde rame dei campanili slanciati, il raggio di sole che finisce sempre con l'illuminare la Siegessaule, la statua di Nike che guarda la Porta di Brandeburgo dall'alto della sua colonna, lo squarcio d'azzurro che si apre su Alexanderplatz.
Porto soprattutto i berlinesi, la signora che, vedendomi con una guida in mano, si è avvicinata a Kreuzberg per chiedermi, prima in tedesco e poi in inglese, se cercavo qualcosa di specifico e poteva aiutarmi o se stavo semplicemente leggendo, le decine di commessi che aiutano lo straniero parlandogli immediatamente in una lingua a lui comprensibile, come quel giovane cameriere di Nordsee in Potsdamer Platz che alla studentessa dal pesante accento italiano che voleva le kartoffeln in un box ha chiesto ok, crante o pikkolo? facendo sorridere lei e le sue amiche e ghignando pure lui.
E mi porto anche la colonna sonora di questi giorni. Incredibilmente Alexanderplatz di Milva e Dall'altra parte dei Pooh. Non so perché ma mi sono suonate continuamente in mente, facendomi compagnia, in una città che non ha mai smesso di sognare, che non ha mai mollato e che gli dei stanno finalmente premiando.